Affinità e organizzazione informale – A.M.Bonanno

Articolo tratto dal n.45 della rivista Anarchismo e poi inclusa nella raccolta “Anarchismo insurrezionalista”

rizoma faccia

Nei compagni anarchici c’è un rapporto ambivalente con il problema dell’organizzazione.

Ai due estremi si collocano l’accettazione della struttura permanente, dotata di un programma ben delineato, con mezzi a disposizione (anche se pochi) e suddivisa in commissioni; e il rifiuto di ogni rapporto stabile anche nel breve periodo.

Le federazioni anarchiche classiche (vecchia e nuova maniera) e gli individualisti, costituiscono i due estremi di qualcosa che cerca comunque di sfuggire alla realtà dello scontro. Il compagno aderente alle strutture organizzate spera che dalla crescita quantitativa venga fuori una modificazione rivoluzionaria della realtà e si concede l’illusione a buon mercato di ritenersi sicuro di controllare ogni involuzione autoritaria della struttura e ogni concessione alla logica del partito. Il compagno individualista è geloso del proprio io e teme ogni forma di contaminazione, ogni concessione agli altri, ogni collaborazione attiva, pensando queste cose come cedimenti e compromessi.

Anche i compagni che si pongono criticamente di fronte al problema dell’organizzazione anarchica e che quindi rifiutano l’isolamento individualista, approfondiscono il problema solo in termini di organizzazione classica, riuscendo difficilmente a pensare forme alternative di rapporti stabili.

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Un obiettivo minimo desiderabile

Articolo uscito sul numero 16 del mensile anarchico Invece che cerca di riattualizzare alcune proposte organizzative di intervento sociale, elaborate nell’anarchismo di azione diretta italiano dei decenni scorsi, alla luce della recente esperienza di lotta contro gli sfratti in alcuni quartieri di Torino.

 

banlieues

 

“Ma poi la parola si logora. Usata per capirsi, non
suggerisce più l’immagine che pure continua a racchiudere
in maniera criptica, è stanca, non soccorre,
ha bisogno di essere soccorsa. Ancora una volta è del
grande cuore di chi agisce che essa ha bisogno(…)”

Certi scritti, che a una lettura iniziale possono apparirci fumosi e astratti, si caricano di senso quando li caliamo nel piano di consistenza di una lotta reale. Allora quello che sembrava lettera morta si sostanzia con precisione nell’immanente di situazioni concrete e problemi tangibili. Questo ci é accaduto con alcuni testi che, qualche decennio fa, affrontavano il rapporto tra un metodo insurrezionale e l’immediatezza delle lotte specifiche, formulando delle proposte organizzative per un intervento degli anarchici in queste ultime. Tutto uno spettro di concetti, dal nucleo di base all’organizzazione informale, ha ricominciato a prender corpo durante una lotta di resistenza agli sfratti che si è sviluppata nell’ultimo anno e mezzo a Torino, principalmente sul quartiere di Porta Palazzo.

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Ai ferri corti con l’esistente, i suoi difensori e i suoi falsi critici.

 

ferri corti

– I –

 

Ognuno può finir di girarsi nella schiavitù di ciò che non conosce

– e, rifiutando l’offa di parole vuote, venir a ferri corti con la vita

C. Michelstaedter

 

La vita non è che una ricerca continua di qualcosa a cui aggrapparsi. Ci si alza al mattino per ritrovarsi, uno stock d’ore più tardi, di nuovo a letto, tristi pendolari tra il vuoto di desideri e la stanchezza. Il tempo passa e ci comanda con un pungolo sempre meno fastidioso. Le prestazioni sociali sono un fardello che non sembra ormai piegare le spalle, perché lo portiamo con noi ovunque. Obbediamo senza la fatica di dir di sì. La morte si sconta vivendo, scriveva il poeta da un’altra trincea.

 

Possiamo vivere senza passione e senza sogni – ecco la grande libertà che questa società ci offre. Possiamo parlare senza freni, in particolare di ciò che non conosciamo. Possiamo esprimere tutte le opinioni del mondo, anche le più ardite, e scomparire dietro il loro brusio. Possiamo votare il candidato che preferiamo, chiedendo in cambio il diritto di lamentarci. Possiamo cambiare canale ad ogni istante, caso mai ci sembrasse di diventare dogmatici. Possiamo divertirci ad ore fisse e attraversare a velocità sempre maggiore ambienti tristemente identici. Possiamo apparire giovani testardi, prima di ricevere secchiate gelide di buon senso. Possiamo sposarci fin che vogliamo, talmente sacro è il matrimonio. Possiamo impegnarci utilmente e, se proprio non sappiamo scrivere, diventare giornalisti. Possiamo fare politica in mille modi, anche parlando di guerriglie esotiche. Nella carriera come negli affetti, possiamo eccellere nell’obbedire, se proprio non riusciamo a comandare. Anche a forza di obbedienza si può diventare martiri, e questa società ha ancora tanto bisogno, a dispetto delle apparenze, di eroi.

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Tiqqun – Come fare

Black-Bloc 1

Don’t’t know what I want,

but I know how to get it.

SEX PISTOLS

Anarchy in the UK

I

VENT’ANNI. Vent’anni di controrivoluzione. Di controrivoluzione preventiva.
In Italia.
E altrove.
Vent’anni di un sonno irto di sbarre, popolato di guardie. Di un sonno dei corpi
imposto dal coprifuoco.
Vent’anni. Il passato non passa. Perché
la guerra continua. Si ramifica. Si prolunga.
In un reticolato mondiale di dispositivi locali.
In un’inedita calibrazione
delle soggettività. In una nuova pace di
superficie.
Una pace armata
ben fatta per coprire lo svolgersi di
un’impercettibile
guerra civile.
Vent’anni fa, c’era
il punk, il movimento del ’77, l’area dell’Autonomia,
gli indiani metropolitani e la guerriglia
diffusa.
Di colpo sorgeva, come uscito da qualche regione sotterranea della civiltà,
tutto un contro-mondo di soggettività
che non volevano più consumare, che
non volevano più produrre,
che non volevano neanche più essere
delle soggettività.
La rivoluzione era molecolare, la controrivoluzione non lo fu da meno. Continue reading

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Individualismo e comunismo: una realtà e due falsi problemi. A.M.Bonanno

 

Il testo seguente è il contenuto di una relazione poi trascritta e pubblicata nella raccolta “Teoria dell’individuo. Stirner e il pensiero selvaggio”. Le riflessioni che sviluppa prendono avvio dall’interpretazione dell’Unico per abbracciare nodi quali la costruzione dell’individuo ed il suo oltrepassamento, la funzione del progetto e la ricerca dell’affinità, anche decostruendo dicotomie e categorizzazioni acritiche nelle quali il pensiero anarchico non ha mai smesso di avvoltolarsi.

 

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Τω ξυνεχες παν εστιν  εον γαρ εοντι πελαζει.

(Per questo è tutto continuo: infatti ciò che è si attacca a ciò che è) Parmenide, 8,25

 

 

Il titolo della relazione merita un piccolo cappello introduttivo: questo riguarda una presunta antitesi tra individualismo e comunismo. La maggior parte di quello che proverò a dire suonerà qualche volta un po’ strano, perché appartiene al bagaglio tradizionale del senso comune secondo il quale sono due cose radicalmente diverse l’individualismo ed il comunismo. Addirittura, in tempi attuali, la pioggia, la sedimentazione delle condanne politico-giornalistiche che sono state accumulate sul concetto di comunismo, hanno sigillato con una pietra tombale qualsiasi discussione sull’argomento. E siccome coloro i quali si occupano di queste cose, chierici pagati per farlo, sono stati ben contenti di trasferirsi, armi e bagagli, a parlare di altre cose, si è scoperto che fra queste altre cose c’è anche il discorso sulla rivalutazione dell’assoluta e sacrale, in senso stirneriano, indipendenza dell’individuo.

Questo non toglie, ovviamente, che ci possa essere una differenza tra individuo e collettività, individuo e comunità, individuo ed insieme di individui che vivono insieme, che vivono a contatto reciproco, con rapporti reciproci, vedendo quali sono queste differenze, quali hanno significato concreto, operativamente trasformativo, e quali invece servono soltanto a sedimentare piccoli luoghi, piccoli ghetti di autosufficienza illusoria.

Quindi, io suggerisco di fare un poco mente locale e anche di fare appello alla pazienza che in molti compagni anarchici, per la verità, scarseggia, per affrontare questi problemi che necessariamente presentano alcune difficoltà, in quanto è ineluttabilmente anche un aspetto del dibattito filosofico, quello di cui bisognerà parlare.

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Tesi di filosofia della storia 1940

 

Un tale diceva che ciò che è noto, proprio in quanto noto, non è conosciuto. Vale quindi la pena inserire ampi stralci di un saggio che, seppure non sia ascrivibile all’alveo della critica rivoluzionaria in senso stretto, è una lettura irrinunciabile per chiunque si ostini a pensare le rotture rivoluzionarie come irriducibili nemiche della Storia, come interruzioni del tempo storico medesimo, evasioni dalla sua cronologia. Leggere quindi una temporalità del divenire rivoluzionario oltre il tempo omogeneo e vuoto che perpetua il marchio del nemico di sempre. Ecco quindi alcuni stralci delle note Tesi di Benjamin. 

 

macerie

 

 

I.

Si dice che ci fosse un automa costruito in modo tale da rispondere,
ad ogni mossa di un giocatore di scacchi, con una contromossa che gli
assicurava la vittoria. Un fantoccio in veste di turco, con una pipa in
bocca, sedeva di fronte alla scacchiera, poggiata su un’ampia tavola.
Un sistema di specchi suscitava l’illusione che questa tavola fosse
trasparente da tutte le parti. In realtà c’era accoccolato un nano gobbo,
che era un asso nel gioco degli scacchi e che guidava per mezzo di fili
la mano del burattino. Qualcosa di simile a questo apparecchio si può
immaginare nella filosofia. Vincere deve sempre il fantoccio chiamato
«materialismo storico». Esso può farcela senz’altro con chiunque se
prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è  noto, è piccola e
brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno.

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Otto Ruhle – La rivoluzione non è affare di partito. 1920

Ecco uno tra i testi più noti e importanti della sinistra comunista tedesca. Viene scritto da Otto Ruhle nel 1920 come contributo al congresso fondativo del KAPD, ed è espressione della tendenza più radicalmente “antidirigista” in seno a quest’organizzazione. Il KAPD nasce da una scissione del KPD, il partito comunista tedesco ufficiale, sulle basi dell’antielettoralismo e dell’uscita dai sindacati. Al suo interno, accanto ad un certo feticismo organizzativo verso la forma dei consigli ben ravvisabile in questo testo, matura l’idea dell’organizzazione unitaria che deve ricomporre la divisione tra organizzazione politica ed organizzazione economica del proletariato. Queste sono le unioni, organizzate su base di fabbrica e non di mestiere, perché si crede che solo nella fabbrica, nel luogo produttivo, i proletari possano, fuori dalle pastoie della democrazia sociale, essere rivoluzionari. Su questi aspetti della sinistra tedesca, sui limiti di un’affermazione del proletariato come contenuto positivo della rivoluzione, tanto è stato detto è scritto. Ci basta far notare, con le righe che seguono, che strano partito fosse quello in questione nonché quanto pesasse al suo interno la critica del centralismo organizzativo. La contraddizione è infatti talmente forte che sfocia nella divisione tra chi vuole mantenere la forma partito (KAPD) accanto all’unione(AAU), con una funzione propagandistica e d’avanguardia teorica, e chi sviluppa conseguentemente la critica della separazione. Questi ultimi, tra cui Otto Ruhle, verranno espulsi verso la fine del 1920 stesso e fonderanno l’AAU-E. Ci ritorneremo.

 

 

rivoluzione19

I

Il parlamentarismo si afferma insieme al dominio della borghesia ed è con esso che nascono i partiti politici.

La borghesia trova nei parlamenti l’arena dei suoi primi conflitti con la corona e con la nobiltà. Essa si organizza politicamente per conferire alla legislazione una forma corrispondente alle esigenze del capitalismo. Il capitalismo, d’altronde, non possiede un carattere omogeneo: i diversi strati sociali e gruppi d’interesse, in cui si suddivide la borghesia, fanno valere ciascuno le proprie differenti rivendicazioni. E’ per farsi portavoce di tali rivendicazioni che sorgono i partiti politici, e che inviano i propri rappresentanti in parlamento. Quest’ultimo diventa quindi il luogo di tutte le lotte per il potere politico ed economico (in un primo momento solo sul piano legislativo, ma in seguito, sempre nel quadro del sistema parlamentare, anche su quello del controllo del potere esecutivo). D’altra parte le lotte parlamentari, così come quelle tra i partiti, non sono che schermaglie verbali: programmi, polemiche giornalistiche, manifesti, relazioni per le riunioni, risoluzioni, discorsi parlamentari, decisioni – nient’altro che parole. L’attività parlamentare, sempre di più col passare del tempo, degenera in chiacchiera da salotto. Ma fin dall’inizio i partiti non sono che banali macchine preposte alla gestione delle elezioni. Non è un caso se, originariamente, essi venivano chiamati “unioni elettorali”.

Borghesia, parlamento e partiti politici si condizionano e si implicano reciprocamente in modo necessario. Nessuno di questi elementi è concepibile senza gli altri. Essi definiscono la fisionomia politica dell’epoca borghese-capitalista.

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Il sogno di mille cose – pensieri su un comunismo anarchico

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Ecco un articolo edito sul numero 18 del mensile anarchico Invece. Lo scritto, seppur con molti limiti ed approssimazioni, cerca di definire la possibilità del comunismo in rapporto al portato sovversivo della prospettiva anarchica. Si maneggiano  quindi due concetti annosamente travisati o scientemente distorti. Il comunismo, derubricato a sinonimo del marxismo nelle sue innumeri varianti, come vettore della transizione politica, del centralismo e dello stato. Niente di più falso, come è inutile dire che in nessuno stato ci sarà mai un grammo di comunismo. L’anarchia come pantano ideologico dove crogiolarsi nell’impotenza, rifiuto della dimensione collettiva e di organizzarsi, sacralizzazione acritica dell’iniziativa individuale. Ancora niente di più falso. Invece condizione di possibilità del comunismo, il suo semplicie volgersi in pratica distruttiva, in attacco alle strutture di potere.Due termini che sono due angolature del medesimo processo di autotrasformazione, e che mai andrebbero disgiunte. Buona lettura

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“Provocazione”.1974 Puzz

Ecco un testo apparso nel 1975 e senza firma sulla rivista “Puzz”, espressione di quella corrente radicale italiana che si era formata in percorsi come quelli dell’Organizzazione consiliare o di Ludd. Lo scritto seguente è la presentazione di “Provocazione”, una serie di quaderni di critica radicale che doveva raccogliere testi di varia provenienza, accomunati dalla tendenza non “convergente” a cercare punti d’attacco contro il  dominio reale del capitale. Giorgio Cesarano era il principale fautore di questo progetto.

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puzz

Alle squadre politiche delle polizie e dei partiti sempre più piacerebbe capire chi siamo. Giacché noi stessi possiamo riconoscersi solo nella critica che ci chiarisce ciò che non siamo e ciò che non vogliamo; giacché noi stessi parliamo la lingua di chi vive la contraddizione e l’inidentità; giacché esistiamo come soggetto plurale solo a condizione di sperimentare collettivamente la nostra contraddizione in processo con le forme stesse delle nostre realizzazioni, a mano a mano che esse soggiaciono ad ogni sorta di recupero; lo sforzo di identificarci secondo le logiche collaudate da due secoli di controrivoluzione si ritorce risibilmente e ignobilmente su chiunque vorrebbe imprigionarci in una formula, per consegnarci più agevolmente alle mura del carcere. Continue reading

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Saccheggiamo ciò di cui abbiamo bisogno, in teoria e in pratica. Costruiamo piani di comunismo diffuso.

“L’arma della critica non può certamente sostituire la critica delle armi. Ma anche la teoria diventa una forza materiale non appena si impadronisce delle masse.” K.Marx.

“Preparate dei piani. Tenetevi pronti.” Casa della gioventù 2007.Copenaghen

comune

 

A mo’ di presentazione.Questo spazio vuol essere un mezzo, un deposito in cui raccogliere materiali ed armi critiche arraffati durante le nostre sortite nei territori della parola scritta, per poi consultarli alla bisogna. Certo, ma un mezzo ad uso di chi? Di nessun referente preciso, categoria sociale o milieu militante, tranne coloro che si riconoscono in quell’insieme di elaborazioni, frammenti e tentativi mai conclusi il cui perdurare nel tempo si chiama movimento rivoluzionario.

Il saccheggio, a parere di chi scrive, è il miglior approccio alla tradizione degli oppressi. Quest’ultima non ci interessa infatti come oggetto di studio da sezionare con sguardo scientifico, come storia monumentale di organizzazioni, correnti e tentativi rivoluzionari falliti, ma nell’incompiuto che vi è incistato, nella costellazione che può formare con le nostre aspirazioni del presente… che non sono neutrali e tanto meno disinteressate. In questa storia, nei suoi cambiamenti e nelle sue contraddizioni, vogliamo cogliere le invarianti del progetto rivoluzionario di cui abbiamo bisogno ora.

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