Tesi di filosofia della storia 1940

 

Un tale diceva che ciò che è noto, proprio in quanto noto, non è conosciuto. Vale quindi la pena inserire ampi stralci di un saggio che, seppure non sia ascrivibile all’alveo della critica rivoluzionaria in senso stretto, è una lettura irrinunciabile per chiunque si ostini a pensare le rotture rivoluzionarie come irriducibili nemiche della Storia, come interruzioni del tempo storico medesimo, evasioni dalla sua cronologia. Leggere quindi una temporalità del divenire rivoluzionario oltre il tempo omogeneo e vuoto che perpetua il marchio del nemico di sempre. Ecco quindi alcuni stralci delle note Tesi di Benjamin. 

 

macerie

 

 

I.

Si dice che ci fosse un automa costruito in modo tale da rispondere,
ad ogni mossa di un giocatore di scacchi, con una contromossa che gli
assicurava la vittoria. Un fantoccio in veste di turco, con una pipa in
bocca, sedeva di fronte alla scacchiera, poggiata su un’ampia tavola.
Un sistema di specchi suscitava l’illusione che questa tavola fosse
trasparente da tutte le parti. In realtà c’era accoccolato un nano gobbo,
che era un asso nel gioco degli scacchi e che guidava per mezzo di fili
la mano del burattino. Qualcosa di simile a questo apparecchio si può
immaginare nella filosofia. Vincere deve sempre il fantoccio chiamato
«materialismo storico». Esso può farcela senz’altro con chiunque se
prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è  noto, è piccola e
brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno.


II.

Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla
redenzione. C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra.
Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che
ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su
cui il passato ha un diritto. Questa esigenza non si lascia soddisfare
facilmente. Il materialista storico lo sa.

III.

Il cronista che enumera gli avvenimenti senza distinguere i piccoli
e i grandi, tiene conto della verità che nulla di ciò che si è verificato va
dato perduto per la storia. Certo, solo all’umanità redenta tocca
interamente il suo passato. Vale a dire che solo per l’umanità redenta
il passato è citabile in ognuno dei suoi momenti. Ognuno dei suoi
attimi vissuti diventa una «citation à l’ordre du jour» – e questo giorno
è il giorno finale.

[…]

 

VI.

Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo «come
propriamente è stato». Significa impadronirsi di un ricordo come esso
balena nell’istante di un pericolo. Per il materialismo storico si tratta
di fissare l’immagine del passato come essa si presenta
improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo. Il
pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro
che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento
della classe dominante. In ogni epoca bisogna cercare di strappare la
tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla. Il Messia
non viene solo come redentore, ma come vincitore dell’Anticristo.
solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la favilla della
speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al
sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di
vincere.

 

[…]

 

VIII.

La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza»
in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia
che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro
compito, la creazione del vero stato di emergenza; e ciò migliorerà la
nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste,
non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del
progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che
viviamo sono «ancora» possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che
filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella
che l’idea della storia da cui proviene non sta più in piedi.

 

IX.

 

C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un
angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa
lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, e le ali distese.
L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al
passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola
catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai
suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre
l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata
nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa
tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle,
mentre il cumulo delle rovine cresce davanti a lui al cielo. Ciò che
chiamiamo il progresso, è questa tempesta.

 

[…]

 

XIII.

Forse che la nostra causa non diventa
ogni giorno più chiara, e il popolo ogni
giorno più saggio?

Wilhelm Dietzgen, Die Religion der

Sozialdemokratie

 

La teoria socialdemocratica, e più ancora la prassi, era determinata
da un concetto di progresso che non si atteneva alla realtà, ma
presentava un’istanza dogmatica. Il progresso, come si delineava nel
pensiero dei socialdemocratici, era, anzitutto, un progresso
dell’umanità stessa (e non solo delle sue capacità e conoscenze). Era,
in secondo luogo, un progresso interminabile (corrispondente a una
perfettibilità infinita dell’umanità). Ed era, in terzo luogo,
essenzialmente incessante (tale da percorrere spontaneamente una
linea retta o spirale). Ciascuno di questi predicati è controverso, e da
ciascuno potrebbe prendere le mosse la critica. Ma essa, se si vuole
fare sul serio, deve risalire oltre questi predicati e rivolgersi a qualcosa
di comune a essi tutti. La concezione di un progresso del genere
umano nella storia è inseparabile da quella del processo della storia
stessa come percorrente un tempo omogeneo e vuoto. La critica
dell’idea di questo processo deve costituire la base della critica
all’idea del progresso come tale.

 

XIV.

L’origine è la meta.

Karl Kraus, Worte in Versen I.

 

 

La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo
omogeneo e vuoto, ma quello pieno di «attualità». Così, per
Robespierre, la Roma antica era un passato carico di attualità, che egli
faceva schizzare nella continuità della storia. La Rivoluzione francese
s’intendeva come una Roma ritornata. Essa richiamava l’antica Roma
esattamente come la moda richiama in vita un costume d’altri tempi.
La moda ha il senso dell’attuale, dovunque esso viva nella selva del
passato. Essa è un balzo di tigre nel passato. Ma questo balzo ha luogo
in un’arena dove comanda la classe dominante. Lo stesso balzo, sotto
il cielo libero della storia, è quello dialettico, come Marx ha inteso la
rivoluzione.

 

XV.

La coscienza di far saltare il continuum della storia è propria delle
classi rivoluzionari nell’attimo della loro azione. La grande
rivoluzione ha introdotto un nuovo calendario. Il giorno in cui ha
inizio un calendario funge da acceleratore storico. Ed è in fondo lo
stesso giorno che ritorna sempre nella forma dei giorni festivi, che
sono i giorni del ricordo. I calendari non misurano il tempo come
orologi. Essi sono monumenti di una coscienza storica di cui in
Europa, da cento anni a questa parte, sembrano essersi perdute le
tracce. Ancora nella Rivoluzione di Luglio si è verificato un episodio
in cui si è affermata questa coscienza Quando scese la sera del primo
giorno di battaglia, avvenne che in molti luoghi di Parigi,
indipendentemente e nello stesso tempo, si sparasse contro gli orologi
delle torri. Un testimonio oculare, che deve forse la sua divinazione
alla rima, scrisse allora: «Qui le croirait! on dit, qu’irrités contre
l’heure | De nouveaux Josués au pied de chaque tour | Tiraient sur les
cadrans pour arrêter le jour».

 

XVI.

Al concetto di un presente che non è passaggio, ma in bilico nel
tempo e immobile, il materialista storico non può rinunciare. Poiché
questo concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto
scrive storia. Lo storicismo postuma un’immagine «eterna» del
passato, il materialista storico un’esperienza unica con esso. Egli
lascia che altri sprechino le proprie forze con la meretrice «C’era una
volta» nel bordello dello storicismo. Egli rimane signore delle sue
forze: abbastanza uomo per far saltare il continuum della storia.

 

XVII.

Lo storicismo culmina in linea di diritto nella «storia universale».
Da cui la storiografia materialistica si differenzia – dal punto di vista
metodico – forse più nettamente che da ogni altra. La prima non ha
un’armatura teoretica. Il suo procedimento è quello dell’addizione;
essa fornisce una massa di fatti per riempire il tempo omogeneo e
vuoto. Alla base della storiografia materialistica è invece un principio
costruttivo. Al pensiero non appartiene solo il movimento delle idee,
ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si arresta di colpo in una
costellazione carica di tensioni, le impartisce un urto per cui esso si
cristallizza in una monade. In questa struttura egli riconosce il segno
di un arresto messianico dell’accadere o, detto altrimenti, di una
chance rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso. Egli la coglie
per far saltare un’epoca determinata dal corso omogeneo della storia;
come per far saltare una determinata vita dall’epoca, una determinata
opera dall’opera complessiva. Il risultato del suo procedere è che
nell’opera è conservata e soppressa l’opera complessiva, nell’opera
complessiva l’epoca e nell’epoca l’intero decorso della storia. Il frutto
nutriente dello storicamente compreso ha dentro di sé il tempo, come
il seme prezioso ma privo di sapore.

 

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