Un contributo personale che traccia qualche riflessione sulle giornate torinesi del 9, 10 ed 11 dicembre. Giornate di blocchi stradali generalizzati, picchetti contro la grande distribuzione e cortei per le strade del centro. Giornate strane. Le righe seguenti sono frutto di un modesto sforzo personale, come si è detto, ma non individuale. Traspongono infatti un’ insieme di chiacchiere, confronti, scambi di impressioni che si sono svolti, tra compagni, durante e dopo i blocchi, tra una levataccia e un caffè nel bar più vicino.
“…una sola pratica umana è immediatamente teoria: la rivoluzione.
La conoscenza umana avanza per
rivoluzioni sociali. Il resto è silenzio.”
Cosa è successo il 9 dicembre per le strade di Torino? Si è fatto un gran parlare, con allarmismo o interesse, del susseguirsi di blocchi, cortei e azioni di protesta che hanno attraversato la città per tre giorni, intralciando e rallentando i flussi di merci come la circolazione delle persone. Molto è stato detto in proposito sia per descrivere l’andamento delle giornate che per chiarirne la natura sociale e politica. Quali ordini del discorso parlano in una composizione sociale così varia e apparentemente anomala? Che fenomeno leggere in riferimenti così marcati all’appartenenza nazionale? Come articolare le rivendicazioni specifiche di corpo che hanno originato la mobilitazione con il disagio sociale diffuso che è arrivata a esprimere? Ma soprattutto che fare? Stare a casa, magari esprimendo critiche sprezzanti, o scendere in strada? E ancora assistere, partecipare o addirittura provare a organizzarsi? Queste sono soltanto alcune delle domande intorno a cui, nelle settimane successive, si è dipanato un dibattito vivace e ricco, perlopiù avvenuto su internet, che ha visto confrontarsi grossomodo tutte le tendenze di quelle galassia composita che viene designata come “movimento antagonista”. Noi che, sia detto di sfuggita, in questa frastagliata compagine facciamo volentieri a meno di riconoscerci, prendiamo comunque atto di come queste giornate siano uno spartiacque. Uno spartiacque tra chi, dentro il “movimento”, non ha disimparato l’esercizio della critica come intelligenza pratica e quelle componenti che invece, per motivi diversi, si confermano totalmente incapaci di cogliere la forza sociale delle classi subalterne laddove essa si manifesti, cioè fuori dalle immagini rassicuranti della narrazione ideologica. A liquidare i comportamenti di insubordinazione che si sono dispiegati sono stati in molti, seppure quasi nessuno a Torino, e con ragioni diverse: qualcuno perché avvoltolato in triti schemi ideologici terzinternazionalisti incentrati sulle foto di repertorio di una classe lavoratrice dal volto atemporale, qualcun altro perché impantanato nei controsensi di chi muove i propri passi sempre orientato secondo le coordinate di un orizzonte politico di sinistra tutto interno agli interessi delle classi dominanti. Se ci siamo risolti a scrivere queste righe nonostante il colpevole ritardo non è per completare il quadro delle posizioni che hanno offerto la propria descrizione dei fatti, per aggiungere la sfumatura antiautoritaria alle altre opzioni che hanno avuto voce. Si tratta piuttosto di trascrivere un fitto e animato confronto che si è svolto tra chiacchiere durante i blocchi, discussioni in assemblea e a tu per tu. Sarà utile dare un po’ di ordine ai pensieri ed agli spunti che ci siamo scambiati finora, con la serena consapevolezza dei limiti del proprio intervento e della propria capacità progettuale. Anche la mera descrizione dei fatti e delle esperienze soggettive può essere un utile strumento d’avvio perché, nelle occasioni future, ci si possa guardare intorno con maggiore prontezza e farsi trovare più preparati
- Una piccola premessa di metodo
Quello che abbiamo visto in città non può essere in alcun modo qualificato come movimento. Sarebbe un ben strano movimento quello che aldilà di una pratica del blocco attuata con maggiore o minore determinazione, non conosce alcun contenuto o programma in comune. Si è trattato piuttosto di un proliferare di azioni e pratiche nelle diverse parti della città, che hanno comunicato ma non hanno avuto un centro direttivo. Quest’ultimo, se mai ne è esistito uno, è stato attivo soltanto nell’avviare e concludere la protesta.
Lo sviluppo e la fisionomia di ciò che si è aggregato in strada varia parecchio secondo il quartiere e la zona della città. Varia al punto da suggerire una polarizzazione tra centro e periferia e un’altra tra strada e piazza come rispettivi luoghi di intervento. Questa variazione di intensità e di modi muta a sua volta registro nei tre giorni, ma perfino in base all’orario della giornata. Al mattino gli studenti, soprattutto degli istituti tecnici e professionali, si assembrano in piazza Castello, dove gli organizzatori si danno appuntamento e dove il primo giorno la rabbia della piazza si scaglia contro la Regione e le forze di polizia schierate a difenderla. Invece nei blocchi di periferia (P.za Derna, P.za Rebaudengo, P.za Pitagora etc.) la gente del quartiere rimane perlopiù stanziale, rimandando mattina per mattina l’appuntamento e ricominciando a bloccare. Emblematico l’esempio di piazza Derna, dove questi appuntamenti continuano anche diversi giorni dopo che nelle altre parti della città i blocchi sono stati rimossi.
La notte però ci sono ragazzi di periferia che prolungano i blocchi al centro, ad esempio in piazza Statuto, oppure ancora a Barriera o anche alle Vallette. Si verificano episodi davvero interessanti e difficilmente controllabili dalla polizia, che non vuole calcare la mano ma fatica a trovare interlocutori in adolescenti poco avvezzi alle trattative. La notte del 9 la polizia, dopo aver tentato per un’ora di trovare accordi con un pugno di ragazzi piuttosto ubriachi, carica su Corso Regina per interrompere dei blocchi a singhiozzo che si sono prolungati fin troppo nella zona tra Piazza Statuto e il Rondò della forca.
Dare una descrizione per sintesi è quindi impossibile. Sarebbe forzato e disonesto, perché riporterebbe inevitabilmente sulle narrazioni un filtro interpretativo parziale. Meglio accogliere questa parzialità dicendo che sarebbe stato perfino fisicamente impossibile vivere completamente le giornate di blocchi, troppo caotiche, troppo piene di episodi sparpagliati. Procederemo per aneddoti o per punti, partendo dall’esperienza soggettiva per affrontare questioni tematiche più generali. La scelta e la scansione di questi punti dipende tutta dalle urgenze e dalla sensibilità di chi scrive.