Il movimento dei consigli operai del primo dopoguerra – Cosimo Scarinzi

Scritto comparso nella raccolta “L’Idra di Lerna-Dall’autorganizzazione della lotta all’autogestione sociale. Considerazioni inattuali”, Ed.Zero in condotta 1991.

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In forma più aspra e concentrata  una dinamica comparabile a quella sindacalista si da nell’esperienza dei consigli operai in tutta Europa nel primo dopoguerra. Non intendo certo affermare che i consigli siano la forma finalmente scoperta dell’emancipazione del proletariato, come una pur necessaria e dignitosa critica delle posizioni degli apologeti del partito come avanguardia di classe potrebbe portare a fare, ma di coglierne il carattere di espressione della crisi contemporanea del dominio statale e padronale e del controllo di un movimento operaio screditato dall’incapacità di opporsi alla guerra mondiale e, in molti casi, postosi alla guida, sia pur in funzione subalterna, dello sforzo bellico nei vari paesi coinvolti nel conflitto.  L’ esperienza consiliare è alla base del costituirsi di specifiche formazioni politiche che cercano nuove vie per la lotta di classe in particolare in Germania, dove più antica e solida è la tradizione socialdemocratica e più urgente la necessità di combatterla, le più rilevanti fra queste formazioni sono il K.A.P.D. e l’ A.A.U.D.

In altri contesti nazionali come, ad esempio, quello italiano l’esperienza dei movimenti di lotta e, in particolare, quella dei consigli di fabbrica non produsse un’opposizione altrettanto netta alle istituzioni tradizionali del movimento operaio sia per le posizioni meno subalterne allo stato da parte del partito socialista nel corso della guerra, cosa che gli permise un rapporto meno conflittuale con i settori operai più combattivi, che per il sorgere di gruppi di opposizione di sinistra, come quelli che daranno vita al partito comunista, meno radicali nei confronti dello stesso partito socialista. Non va, inoltre, sottovalutata l’esistenza di una tradizione sovversiva più ampia e autorevole di quella presente nell’Europa centrale, tradizione incarnata dal movimento anarchico e dall’Unione Sindacale Italiana. E’ comunque, secondo me, importante tenere conto del fatto che il movimento dei consigli ha caratteri immediatamente internazionali al di là delle rappresentazioni politiche e sindacali con cui si misura nei vari contesti in cui si sviluppa.

Tornando alla Germania, è particolarmente evidente il fatto che la crisi del primo dopoguerra pone, nella roccaforte stessa della socialdemocrazia, consistenti settori proletari in contraddizione con il movimento operaio istituzionale. La parte di gran lunga più consistente del movimento operaio organizzato agisce apertamente, nei confronti delle lotte autonome di classe, come una istituzione dello stato e del capitale volta a reprimerle o a recuperarle. Gli stessi consigli operai vengono in gran parte egemonizzati dai partiti riformisti e, in alcuni casi, conservatori, eppure rappresentano sia per importanti gruppi proletari che per minoranze politicamente strutturate l’occasione per l’assunzione di un nuovo punto di vista sulla lotta di classe. Questa breve stagione, estremamente feconda da un punto di vista teorico, viene bruciata in uno scontro frontale con le istituzioni del vecchio mondo e superata dalla capacità del sistema di impresa di riorganizzarsi dal punto di vista produttivo e sociale attraverso una più massiccia integrazione con lo stato, una radicale modificazione dell’organizzazione del lavoro, lo sviluppo si una sorta di “socialismo” del capitale.

La sinistra comunista tedesco/olandese, che fu sicuramente una delle esperienze più innovative ed interessanti di questa fase storica, trova le sue radici teoriche, oltre che nell’elaborazione dei gruppi di sinistra della Seconda internazionale, nelle stesse forme più avanzate del sindacalismo d’azione diretta, in particolare negli I.W.W., ma è costretta a superare le speranze di una graduale ricostituzione formale della classe in controsocietà dalla velocità stessa dello scontro sociale. L’esperienza dei consigli operai come organizzazioni unitarie sulla base dei luoghi di lavoro mette in discussione, con tutti i suoi limiti,il tradizionale percorso per cui è necessario, utile, possibile costruire dei sindacati, magari rivoluzionari, e sembra porre all’ordine del giorno la possibilità che possano sorgere delle organizzazioni contemporaneamente economiche e politiche di tutti i lavoratori iscritti o meno ai sindacati.

I consigli operai, nel loro impetuoso sviluppo, sono, contemporaneamente, forma di azione, di organizzazione, di governo del sociale, luoghi fisici e politici in cui è possibile uno scontro fra posizioni diverse all’interno della classe non secondo modalità burocratiche e parlamentari ma nello stesso processo di crescita di una socialità almeno parzialmente liberata. Appaiono dunque, almeno alle minoranze che proseguono nei decenni seguenti una riflessione critica nei confronti del capitalismo di stato e di mercato, come un’esperienza preziosa per una possibile riorganizzazione su base comunista della società. Infatti, al loro interno, si sviluppa un tentativo importante di definire delle regole per il governo della produzione che permettano di mettere in discussione la divisione fra lavoro manuale ed intellettuale, direttivo ed esecutivo e quella fra governanti e governati. Quest’aspetto dell’esperienza consiliare, quello liquidato come “ingenuo” dal realismo politico dei vari apparati socialdemocratici e bolscevichi, resta come fondamento di una critica sociale e non puramente politica al potere capitalistico.

Ciò che il movimento dei consigli e l’azione autonoma di classe che lo precede e sostanzia e che ne prosegue l’azione non riescono a ribaltare è la ristrutturazione del sistema di impresa e della macchina statale favorita dallo stesso movimento operaio ufficiale. nelle nazioni che, come l’Italia e la Germania, hanno vissuto i più maturi tentativi rivoluzionari si affermano stati autoritari che ricompongono dall’alto quella rottura dell’unità sociale che la guerra mondiale e i movimenti di rivolta che l’hanno seguita hanno determinato.

L’incapacità ed impossibilità di governare in forma autoconsapevoli e collettive una riorganizzazione sociale da parte dei movimenti di rivolta è la premessa ad una rivoluzione dall’alto che riplasma i termini stessi delle relazioni sociali. Con la significativa ma isolata eccezione della rivoluzione spagnola, che pure vede un’esperienza fondamentale di trasformazione autorganizzata della società, il primo dopoguerra si chiude con la dissoluzione di ogni speranza immediata di un movimento operaio radicale e con il macello dei proletari della seconda guerra mondiale, macello non solo e non tanto fisico quanto politico per l’impossibilità di un’azione non controllata, nei fatti e nella coscienza, da uno dei blocchi capitalistici dominanti.

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